Ancora una volta la Suprema Corte, con la sentenza n. 31003 del 16.07.2015, ha ravvisato la responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 25 septies D.Lgs. 231/01 in caso di infortunio di un lavoratore in azienda.
La vicenda processuale aveva ad oggetto le lesioni gravi subite da un lavoratore mentre con un collega era intento ad effettuare un’operazione di scarico di una pesante bobina di carta.
Il Tribunale aveva ritenuto che il datore di lavoro fosse responsabile per avere lo stesso consentito che tale operazione avvenisse senza aver installato sul macchinario che comandava la discesa della bobina, alcun dispositivo di sicurezza.
Dispositivo installato in seguito all’infortunio dagli organi di vigilanza consistente in un sistema di doppi comandi tale da consentire lo sgancio della bobina solo con l’esplicito consenso di entrambi i lavoratori, quello addetto allo sganciamento dei mandrini che fissavano l’albero della bobina al macchinario e del lavoratore addetto al comando del macchinario stesso.
Era stata inoltre ravvisata la responsabilità dell’ente in quanto lo stesso aveva tratto un vantaggio dalla predisposta modalità di organizzazione del lavoro.
Sentenza poi confermata anche in grado di appello.
La Corte di Cassazione chiamata a decidere sul ricorso degli imputati ha affermato ancora una volta il principio secondo cui, in caso di lesioni colpose ex art. 25 septies l’interesse e/o vantaggio, su cui si fonda la responsabilità 231, “vanno letti, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale” rinviando alla nota sentenza delle Sezioni Unite del 24 aprile 2014, riguardante il caso ThyssenKrupp.
Nel reati colposi, prosegue la Corte, “l’interesse/ vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione sub specie , dell’aumento di produttività che ne può derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attività lavorativa “favorita” dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi.”
Tale sentenza ribadisce nuovamente il concetto che i requisiti dell’interesse e vantaggio ben si possono conciliare anche con i reati colposi previsti dal Decreto Legislativo 231/01 e che gli stessi si realizzano tutte le volte in cui le la morte o le lesioni personali colpose siano determinate da scelte rientranti oggettivamente nella sfera di interesse dell’ente oppure se le stesse abbiano comportato almeno un risparmio di spesa o un aumento di produttività per l’ente stesso.
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